“Ciò che distingue e qualifica il lavoro di Francesca Guetta è la disponibilità a mettere in campo una ricerca che sia capace di sviluppare una integrazione degli aspetti della cultura materica con le sensibilità di ordine oggettuale rapportate costantemente al dato ineludibile della referenza epifenomenica. Con queste caratteristiche che si propongono non solo come orizzonte di una pratica creativa fortemente impegnata sul fronte della definizione formale, la pittura di Francesca Guetta finisce col diventare un momento di incontro tra organizzazione strutturale e sensibilità soggettiva. Ci sembra utile inoltre richiamare l’attenzione sulla pregnanza cromatica che si propone come una luminosità internamente prodotta dallo sfarfallio dei colori, una pregnanza cromatica che appare sostenuta peraltro da un robusto impianto compositivo, al quale dovrà guardarsi non soltanto per la godibilità estetica, ma soprattutto per la sostanza contenutistica”.
da catalogo “ Monreale- Una raccolta d’arte contemporanea italiana “ ( Centro Diffusione Arte Editore, catalogo presentato il 20 novembre 2010 in occasione dell’inaugurazione della mostra Rassegna d’arte contemporanea presso il Museo Sciortino di Monreale ) : “Artista eclettica, Francesca Guetta spazia da composizioni di carattere realistico, come India, dove viene ritratto un anziano seduto di fronte ad uno sfondo i cui particolari restano soltanto suggeriti, a quadri dove a prevalere è la dimensione astratta, come in Flipper dove una miriade di segni e colori si rincorrono sul supporto. La vivacità espressiva della pittrice si manifesta sia nella scelta di tinte solari e brillanti che nel suo sperimentare diverse tecniche e materiali, cercando la soluzione più adatta alla resa visiva della propria fonte di ispirazione. La mano di Guetta si muove decisa a giustapporre sfumature e accenti cromatici e luminosi, che imprimono un movimento vivace all’impianto visivo. Tramite il colore l’artista mostra all’osservatore un’immagine limpida e appassionata sul mondo esterno, capace di cogliere la poesia e l’essenza delle cose con sorprendente immediatezza”
Recensione del prof. Diego Fusaro sulla serie “La natura imbrigliata” redatta per il
Catalogo generale degli artisti selezionati dalla Precis Arte 2020, volume a cura di Diego
Fusaro e Lucia La Sorsa, Print Me S.r.l. Editore : L’ artista imposta il suo convincente
lavoro giocando sul nesso tra figure geometriche e simbolismo. L’effetto visivo è
pregevole, l’impiego delle tonalità cromatiche risulta a effetto, in specie l’impiego del rosso
sulle figure geometrizzate. L’opera, che appare matura e convincente in tutte le sue
realizzazioni, sembra quasi richiamare, ponendola nell’unità visiva del quadro, la
distinzione kantiana tra una “ natura materialiter spectata” e una “natura formaliter
spectata” : da un lato, infatti, l’osservatore vede la natura così com’è materialmente, con le
sue forme e i suoi sgargianti colori, con i suoi enti materiali e con le sue determinazioni
concrete. Dall’altro, egli può vedere, grazie alle linee geometriche, la natura che Kant
chiama “formaliter spectata “, cioè, appunto, vista sul piano formale e geometrico.
“L’artista, specializzata in tecniche pittoriche, esalta l’arte della figurazione per dar valore alle proprie emozioni. Il caffè è un’opera realizzata con tecnica mista su tela. Attraverso un sapiente lavoro di assemblage e collage la pittrice evoca con pochi elementi una realtà oggettiva, il tutto elaborato con grande sensibilità cromatica. È possibile trovare un richiamo alla pop art per l’esplicito riferimento ai fenomeni di comunicazione: l’utilizzo delle vignette, della caffettiera, del caffè quale prodotto industriale di largo consumo; come pure al collage futurista dove la realtà circostante entra nel quadro attraverso narrazioni visive che portano l’astante in un mondo in cui è ancora legittimo sognare. Guetta vuole sottolineare il desiderio di un commercio equo e solidale, nel quale l’obiettivo primario non è la massimizzazione del profitto, ma la lotta allo sfruttamento e alla povertà. Messaggio profondo e grande modernità”.
Daniele Radini Tedeschi
(A proposito del caffè, catalogo del “Festival delle Belle Arti e della Cultura del XXI secolo”, Museo Bellini, Firenze, Edizioni La Rosa dei Venti, 2013)
da Segnalati 2013 – Ea Editore : “Nuovi paradisi visivi. Giardini dell’Eden contemporanei, fanno la loro comparsa su tela. Delle vere esplosioni di luce caratterizzano un percorso visivo che ha nella ricerca la sua chiave di lettura più corretta. Francesca Guetta è un’artista in grado di elaborare un proprio alfabeto signico. Un alfabeto la cui linguistica risiede nella grande gestualità dell’Artista. Abbandonata la figurazione accademica, i fiori informali di Guetta raggiungono così la dimensione del sublime. Dimensione in cui la ragione dialoga visivamente con la follia, il risultato è la genialità creativa, della quale, ogni opera di Guetta è “portatrice“. Il fiore diventa così il simbolo di quell’oblio che si fa dimenticanza e allo stesso tempo un sentiero misterioso da percorrere e ripercorrere di volta in volta con occhi diversi.“
“Non poteva essere altrimenti l’efficacia e la validità di questa composizione dedicata al genio dell’arte, al grande Michelangelo, perché concepita e realizzata da un’artista fiorentina che possiede nei geni e nei pori l’energia di Buonarroti. I colori si muovono tra il classico e il contemporaneo, tra la limpidezza e la precisione della realtà presente e le sfumature del passato, su un’opera fondamentalmente informale. La mano che scolpisce, è un gesto umano guidato dal divino, dove tempo e spazio divengono l’attimo, l’eterno […] traducendosi in uno sguardo di meraviglia, muovendosi dall’essenziale al particolare. Lo stesso Michelangelo prima di realizzare il Giudizio Universale, la sua opera summa, scriveva: “.
(mostra “Colori in concerto – dalla Toscana e dalla Liguria un inno al colore”, 2012, diploma di merito artistico relativo al quadro Omaggio a Michelangelo III)
“Esempio di riconfigurazione paradisiaca in senso ‘pagano’ è la lettura che offre Francesca Guetta con Paradiso … forse, opera critica, concettualmente diffidente, in cui l’Empireo è messo in crisi nella sua materialità: ovatta a posto di nubi, caffè ( Lavazza ) come nella reclame televisiva, musica classica come armonia delle sfere, sigarette come vizio rilassante e quindi ‘paradisiaco’ […]”.
Daniele Radini Tedeschi
(Paradiso … forse, “Esposizione Triennale di Arti Visive”, Roma 2014, Tiltestetica, catalogo a cura di D. Radini Tedeschi, Editoriale Giorgio Mondadori, 2014)
“Francesca Guetta ama sorprendersi e sorprenderci con la sua innata propensione per il nuovo, la sperimentazione di tecniche e materiali, la messa alla prova di sé di fronte a sfide sempre più intriganti e affascinanti. Questa volta trae ispirazioni dal collage per sperimentare visioni e suggestioni tratte dall’eternità del fantastico e dell’assurdo che caratterizzano Alice nel suo mondo delle meraviglie. A proposito di Alice è un’opera dallo sfondo vivace in cui aggettano tralci cromatici che sembrano liberarsi dal cuore dell’opera tradotto dalla sensibilità dell’artista in una pila di libri ordinati come gradini di una scala fantasiosa e surreale. Aperto nelle mani di Alice l’ultimo libro gradino dalle cui pagine sono sfuggite note musicali raccolte in spartito e tradotte in musica dalle corde di una chitarra. Onirica, fantasiosa, surreale la composizione in cui la Guetta ci conduce verso la comprensione e la rappresentazione dell”Oltre’, un’opera in cui l’autrice utilizza ancora la tecnica del collage e la vivacità dell’acrilico. Efficace la composizione tesa a raffigurare due opposti di cui la figura femminile centrale è protagonista. Opaco, tetro, oscuro, soffocante come una gabbia il mondo a cui la donna sembra sfuggire, la fantasia e il colore le mete della sua fuga verso la libertà, verso il suo ‘oltre’. La ricerca sembra essere il leitmotiv del mondo di questa artista e questa volta la sua ricerca ci conduce a godere della libertà semplice che si respira in un rifugio interiore fatto di piccole cose, di vivaci, colorati, cari ricordi d’infanzia. Il suo è un sogno azzurro intenso, acceso dal giallo di un sole di cartone che splende su fiori dipinti mentre nell’aria volano farfalle e piccoli aeroplani giocattolo. Spontanea la considerazione che Francesca Guetta offre all’estimatore un’arte caleidoscopica e versatile, realizzata con perizia e sensibile vitalità”.
(Oltre e A proposito di Alice, catalogo Ars Gratia Artis, L’Arte per l’Arte,
Precis Arte Edizioni, 2014)
Critica di Letizia Lanzarotti redatta in occasione della mostra personale virtuale di Francesca Guetta caricata su 3D Art Gallery di Youtube : “ La parola chiave della mostra di Francesca Guetta è sperimentazione. Solare e positiva, l’Artista si muove con scioltezza ed eleganza tra stili di differente rappresentazione e di non facile esecuzione tecnica. I risultati sono brillanti mélange cromatici perfettamente riconducibili alla mano della creatrice. Diversi temi divengono trame incrociate del percorso museale. Ogni quadro trasmette un messaggio attraverso un innovativo linguaggio artistico incentrato sui cromatismi e, talvolta, sul collage polimaterico. A tal proposito, rilevante importanza occupa la serie degli Omaggi. I numerosi pannelli dedicati a Michelangelo valorizzano il “mai visto“ sfruttando uno stile unico e riconoscibile, in un collage di stampe e corda grezza che richiama il lavoro manuale e il gesto artistico. È l’Artista stessa che si interroga sul suo lavoro; un meta-linguaggio usato dall’Arte per parlare di se stessa, ispirata al Grande maestro dell’eclettismo.
In altri collage, invece, piccoli ready-made adottati dal modellismo diventano suggestivi simboli naif di epoche e contesti storici. Una ricerca senza sosta da esplorare senza riserve, lasciando la mente libera di varcare l’orizzonte del “già visto“, per approdare a nuovi stimoli ed evocative emozioni intime o collettive. Con tutta l’umiltà e la forza della sperimentazione, Francesca Guetta esibisce i suoi capolavori in una mostra diversificata per stili, tecniche e soggetti, riassumendo la sua ricerca in un originalissimo linguaggio meta-indagatorio: l’Arte che parla di Arte. “
“Questo lavoro di Francesca Guetta intitolato Omaggio a Michelangelo III si basa su un costrutto dove le citazioni michelangiolesche si inseriscono in un contesto astratto coniugato sui tre colori primari. Si tratta di un messaggio colto che sottintende un senso di devota appartenenza a una tradizione incommensurabile, con la quale ogni artista italiano deve inevitabilmente e umilmente confrontarsi. Di grande freschezza inventiva il contrasto fra le fasce dinamiche di colore e i particolari di forme plastiche”.
(expertise per Omaggio a Michelangelo III)
“A proposito del caffè di Francesca Guetta, è un’opera polimaterica su una tematica che si presta a una riflessione sulla diffusione dei beni di consumo nella nostra contemporaneità. Il montaggio degli elementi figurali, un sacco di caffè e le componenti di una caffettiera su un fondo di un verde atonale, dà luogo a una narrazione compositiva che evoca l’incolmabile distanza economica e sociale che fra il nostro e il terzo mondo”.
(expertise per A proposito del caffè)
“Omaggio alle Giubbe Rosse di Francesca Guetta è un’opera a tecnica mista che rimanda a un momento importante della cultura fiorentina del primo Novecento. Il nome del titolo era un caffè dove si riunivano gli intellettuali legati alla rivista “Lacerba”, diretta da Giovanni Papini. Il gioco delle citazioni è puntuale nei riferimenti iconografici dell’epoca e sull’immaginario legato alla modernità. L’autrice compone quindi una sorta di affresco commemorativo di accattivante impatto visivo”.
(expertise per Omaggio alle Giubbe Rosse)
“ Espressionisticamente potenti, i fiori di Francesca Guetta sembrano rappresentare un pretesto che esce dalla mera interpretazione oggettuale, per razionalizzare con forza quei pochi elementi che caratterizzano questa pittura : la vigorosa resa cromatica, la gestualità istintiva, l’energia materica. L’artista incanala l’emotività umorale delle sue opere in forme riconoscibili che stabiliscono un rapporto sensoriale con l’osservatore. “
Tecnica impeccabile. L’acquarello non lascia spazio a esitazioni o a errori di esecuzione. Questo accade nelle opere di Francesca Guetta così affascinanti per dedizione e per impegno realizzativo. Il dispendio di energie durante l’atto creativo, il riversare sulla tela le proprie passioni e ansie, è per l’artista certo notevole, ma necessario per la perfetta compenetrazione tra anima e soggetto. Francesca per affrontare i suoi acquarelli ha bisogno di calma, di una calma tutta interiore che lasci il tempo alle sue emozioni di organizzarsi per poi guidare la mano nella realizzazione di impressioni emotive dalla grande verità sensoriale e tangibile: per opere che nascono da una vibrazione di sensibilità e da un moto dell’anima che risente e si nutre delle altalenanze umorali, spesso incisive sulle scelte cromatiche. Ma nonostante questa tempesta emotiva, i suoi lavori si animano di una felicità espressiva caratterizzata dalla raffinata esecuzione, dall’estrema leggerezza e dall’eccezionale trasparenza dei suoi acquarelli fatti di velature e di getto, come la tecnica impone, ma che comunque donano un realismo epidermico lenticolare davvero impressionante che solo decenni di pratica consentono di raggiungere. Tuttavia Francesca Guetta non è solo questo. Le qualità tecniche sembrano, per la facilità con cui si definiscono, essere innate in lei stupendoci per la naturalezza con cui il colore così incorporeo scorre sulla carta, in un gioco sottilissimo di tinte che, nel perfetto incontro, creano interessanti linearismi grafici e incantevoli sensazioni di chiaroscuro. E davanti a questi acquarelli come non pensare al poeta Mallarmé che vedeva il maggior pregio della poesia non risiedere nei contenuti delle parole, ma nella loro capacità di evocare immagini? Esattamente come accade in questi lavori che nella loro poesia d’insieme evocano suoni, profumi e sensazioni capaci di smuovere le profondità degli animi. A partire dal suo, sempre in discussione.
Legati difatti all’innato bisogno espressivo di Francesca Guetta vanno lette la serie Omaggio al Futurismo e le sue ultime sperimentazioni materiche. La prima, una singolare rivisitazione estetica in cui ritmi ben dosati, lontani da un’esplosione di linee o da anacronistici dinamismi, si fondono con elementi grafici e oggetti di recupero spesso originali che richiamano uno dei periodi storici più interessanti del nostro Paese, nonché l’unica Avanguardia Storica tutta italiana.
La seconda e ultima in ordine di tempo, una, altrettanto interessante, sperimentazione in cui l’attrazione sensoriale si unisce alla consapevolezza del proprio spessore plastico e alla ricchezza cromatica, che, facendosi densa, crea una complessità di trapassi che diventano esuberante deposito plastico e fulcro nascente di luce, così catturata dalla fervida vitalità materica.
Critica redatta dal Prof. Rosario Pinto ed inserita nel testo di storia dell’arte “ Fra tradizione e innovazione. Movimenti ed idee dell’arte contemporanea dall’Impressionismo al Duemila “, volume IV , ed. Napoli Nostra , 2018 : “ Nel tracciare un profilo introduttivo della personalità di Francesca Guetta, Giampaolo Trotta provvede ad additare che “sarebbe riduttivo definire semplicemente pittrice “ tale artista, dal momento che “ soprattutto le sue opere su cartone telato montato su tavola, infatti, presentano una articolata stratificazione e giustapposizione di materiali…a tal punto che possiamo parlare di vere e proprie pittosculture “. Il dato di una pratica creativa che viene sviluppata dalla nostra artista come una opportunità che si offre di mettere in campo una esperienza plurima e complessa sul piano esistenziale costituisce l’elemento di fondo per un ancoraggio a delle ragioni storiche che, come è possibile osservare, la critica vede nel segno di una impermanenza ‘ popartistica ‘. Tutto ciò è molto importante e merita un approfondimento d’indagine che è tanto più opportuno se soprattutto mettiamo sul piatto della bilancia alcune valutazioni che l’insieme della attività produttiva della nostra artista suggerisce e manifesta. Ad esempio emerge una disponibilità della nostra artista alla pratica di una pittura di generoso respiro informale praticata, peraltro, con un’opzione produttiva che non esita a rivolgersi al privilegiamento di delibazioni di marca nucleare come possiamo osservare in opere ad acrilico come La natura imbrigliata o Tra i fiori. Dipinti come questi che abbiamo appena citato sono particolarmente importanti per avere una misura della dilatazione d’orizzonte molto significativa che l’opera della nostra artista manifesta, avendo capacità di collocarsi in una sfera contenutistica dalla profilatura di assoluto interesse e sicuramente in qualche modo più avanzata rispetto a quegli orientamenti di ‘popart’ alla italiana che, in fondo, potrebbero anche essere intesi – e in virtù di una sorta di sbandierato accantonamento delle consistenze contenutistiche in premio di un alleggerimento della pregnanza organica ed ispessita del pensiero – potrebbero anche essere intesi, ripetiamo, come manifestazioni anticipative di quel clima di dismissione d’impegno dell’arte che si sarebbe poi abbattuto tragicamente sulle vicende artistiche con la stagione ‘postmoderna’. Ed allora, dovendo avere conto del fatto che l’attività creativa della Guetta anche per ragioni squisitamente cronologiche si sviluppa tutto nel seguito temporale della prima stagione ‘pop-artistica’ italiana, potrà esser utile sottolineare come il discostamento della produzione della nostra artista dal clima, ad esempio, romano degli Schifano o dei Festa ( al netto, per quanto attiene quest’ultimo di alcune sensibilità specifiche ancora proprie del clima del ‘ Realismo di denuncia ‘) costituisca motivo di fondamento per la considerazione della sua ricerca creativa come di una attività di assoluto interesse per l’originalità e la autonomia propositiva che dischiude. E potrebbe non essere incongruo valorizzare nell’attività di questa artista anche una sorta di sottaciuta scansione astrattiva, che si propone come gradiente propositivo di una silente disposizione normativa capace di agire dalle latebre della ispirazione creativa venendo a fornire una normazione psicologica che agisce in surroga di una predittività accortamente emarginata della coscienza. “
Un chicco, un profumo per il mondo … aspettando l’ Expo
Francesca Guetta è un’artista complessa, che sarebbe riduttivo definire semplicemente “pittrice”. Soprattutto le sue opere su cartone telato montato su tavola, infatti, presentano un’articolata stratificazione e giustapposizione di materiali – anche tridimensionali – a tal punto che possiamo parlare di vere e proprie “pittosculture”.
Nei suoi quadri è evidente il richiamo – per cromie e gestualità del segno – a certa Pop Art, segnatamente italiana (come nei suoi fiori, che talora risentono inconsciamente della lezione di Mario Schifano e dei suoi Gigli d’acqua) e a quella che fu definita la risposta europea all’arte popolare americana, vale a dire al Nouveau Réalisme nato sotto l’egida di Pierre Restany e, in particolare, a quello interpretato da Arman con le sue ‘accumulazioni’. Vi sono, però, delle sostanziali differenze, che conducono l’arte della Guetta ad un’assoluta originalità.
Come si sa, il movimento nato in Francia negli Anni Sessanta riprendeva il concetto del ready-made dadaista, cioè quello di un oggetto di uso quotidiano e prefabbricato, isolato dal suo contesto funzionale ed elevato da un artista ad opera d’arte solo tramite la nuova contestualizzazione. In Arman – che si definì come “un peintre qui fait de la sculpture” -l’inserimento di oggetti distrutti valeva ad esprimere l’ingranaggio assurdo del consumismo. L’oggetto applicato sul fondo verniciato, però, poteva essere qualunque cosa – violini fracassati, tubetti di colore, pennelli, scarpe, bambole, bollitori – ma il concetto di fondo poco cambiava. Francesca Guetta, invece, impiega solamente alcuni determinati oggetti strettamente connessi al tema che vuole svolgere e mai vere e proprie ‘accumulazioni’ quasi indifferenziate. La sua opera – altamente concettuale e sempre legata, in questa serie di realizzazioni, a temi di valenza sociale ed universale – è un vero e proprio percorso di autocoscienza culturale che l’artista segue e possiede un filo conduttore tramite il quale l’autrice vuole farci riflettere su realtà profonde. Il tema delle cinque opere polimateriche – qui presentate nel primo “gruppo” – è il caffè, nelle sue molteplici valenze economiche e sociali. Attraverso frammenti di balle (nelle quali si conservano i chicchi torrefatti), chicchi stessi di caffè, macinini e vecchie macchinette moka, disposti ad arte sul ‘tappeto’ verde o rosso del mondo, ci fa riflettere sulla possibilità di una commercializzazione equa e solidale. Tale prospettiva è sottolineata da commenti scritti, che dal punto di vista formale risentono della tradizione fumettistica ‘pop’, e nel contempo è enfatizzata tramite la simbolizzazione della filiera della produzione dai Paesi produttori alle nostre tavole, materializzata in un ‘Rosario’ tutto laico di chicchi torrefatti (si vedano A proposito del Caffè e Macinando … macinando). Una sottesa esortazione ad uscire dai folli ingranaggi del consumismo globalizzante, per riappropriarsi della nostra individualità, in un contesto di cose semplici che possano darci serenità: un possibile “Paradiso” su questa Terra (a volte ‘ritratto’ in composizioni surreali) raggiungibile ‘semplicemente’ sorseggiando una tazzina di buon caffè, magari napoletano o secondo le vecchie ricette dell’Artusi, con sottili risvolti ironici in taluni “fumetti”, che ‘alleggeriscono’ la concettualità del forte messaggio (si veda Paradiso … forse, Per una tazzina di caffè o ‘ A cuccumella). Proprio in quest’ultima opera, al di sotto di un taglio nella juta di ascendenza fontaniana, emerge la foto di un balaustro scolpito con la piantina del caffè, appartenente alla scala della sede dell’Istituto Agronomico per l’Oltremare, alludendo ancora una volta alla cooperazione internazionale per lo sviluppo di tutti i Popoli. L’uso di frammenti fotografici è ricorrente nelle opere della Guetta, secondo una tradizione del collage d’origine futurista, il cui dinamismo è anche qui sottolineato dai colori decisi e talvolta squillanti e dalle spirali delle rammentate ‘corone’ di chicchi (quasi come nei sai di religiosi) e di floreali cordoni sinuosamente diramantisi come rivoli di vita e di pace, come cordoni ombelicali che ci uniscono fraternamente.
Le rimanenti tre opere esposte, invece, rispondono ai più canonici stilemi della pittura ad acrilico. Una pittura, come si diceva, per masse cromatiche dalle quali deriva – intuita – la forma figurata dei fiori, in un’esplosione vulcanica di rutilante gestualità.
Speranze è un quadro che possiamo quasi interpretare come una sorta di trait d’union di pittura e collage fra quest’ultima serie di Naturalia e le ‘pittosculture’ del gruppo precedentemente considerato. Una variopinta girandola di immagini per darci la speranza che sul degrado delle metropoli contemporanee possa riprevalere una natura incontaminata, dallo spreco e dall’inquinamento possa rinascere un fiore, con poetici accenti da “figli dei fiori”, quei “figli dei fiori” infrantisi nella logica del consumismo, quell’utopia hippy universalizzata dall’ammiccante richiamo all’idealità della città dell’Umanesimo, cui fa riferimento la foto della Tavola di Urbino di sangallesca memoria.
Una riflessione su una Natura oggi troppo spesso “imbrigliata” dall’uomo, cui par fare riferimento l’omonima opera ‘ingessata’ sulla tela, una natura bloccata e soffocata dalla cementificazione urbana.
Una visione – quella di Francesca Guetta – realistica e disincantata, ma non esistenzialisticamente pessimistica, dove la poesia, l’arte e la velata ironia hanno in fondo il sopravventi, giocando il ruolo vincente di una parabola “evangelica” tutta contemporanea.
Tra Michelangelo, Balla e Depero, sorseggiando il caffè della vita
Le opere di Francesca Guetta esposte in questa mostra personale presso la “Casa di Dante” a Firenze presentano un’articolata stratificazione e giustapposizione di materiali – anche tridimensionali – che le fanno assurgere a vere e proprie “pittosculture”, inserite fra piccole ma significative istallazioni che contribuiscono a rafforzarne il filo conduttore.
Nei suoi quadri è evidente il richiamo alla Pop Art italiana e, soprattutto, a quella che fu definita la risposta europea all’arte popolare americana, vale a dire al Nouveau Réalisme, in particolare, a quello interpretato da Arman con le sue ‘accumulazioni’. Vi sono, però, delle sostanziali differenze, che, come si è avuto già modo di dire in occasione di un’altra sua mostra, conducono l’arte della Guetta ad un’assoluta originalità. L’artista, infatti, impiega solamente alcuni determinati oggetti strettamente connessi al tema che vuole svolgere e mai vere e proprie ‘accumulazioni’ quasi indifferenziate. La sua opera è un vero e proprio percorso di autocoscienza culturale che l’artista segue e possiede un filo conduttore tramite il quale l’autrice vuole farci riflettere su realtà profonde.
Il tema delle opere polimateriche del primo gruppo qui esposto è quello del caffè, nelle sue molteplici valenze economiche e sociali. Attraverso frammenti di balle di juta, chicchi di caffè, macinini e vecchie macchinette moka, disposti ad arte sul ‘tappeto’ verde o rosso del mondo, Francesca Guetta ci fa riflettere sulla possibilità di una commercializzazione equa e solidale. Tale prospettiva interpretativa è sottolineata da commenti scritti, che dal punto di vista formale risentono della tradizione fumettistica ‘pop’, e, nel contempo, è enfatizzata tramite la simbolizzazione della filiera della produzione, dai Paesi d’origine alle nostre tavole, materializzata in una sorta di ‘Rosario’ tutto laico di chicchi torrefatti. Una sottesa esortazione ad uscire dai folli ingranaggi del consumismo globalizzante, per riappropriarsi della nostra individualità, senza fretta, in un contesto di cose semplici che possano darci serenità e la possibilità di non essere travolti dal gorgo dai molteplici impegni urgenti ma non realmente importanti che spesso ci travolgono. Un possibile “Paradiso” su questa Terra (a volte ‘ritratto’ in composizioni surreali) raggiungibile ‘semplicemente’ sorseggiando una tazzina di buon caffè, magari napoletano o secondo le vecchie ricette dell’Artusi, oppure riascoltando brani di canzoni e di musica leggera italiana aventi per riferimento il caffè e appartenenti al bagaglio dolce-amaro dei ricordi di intere generazioni del Dopoguerra, con sottili risvolti ironici in taluni “fumetti” inseriti nei quadri, che ‘alleggeriscono’ la concettualità del messaggio. L’uso di frammenti fotografici è ricorrente nelle opere della Guetta, secondo una tradizione del collage d’origine futurista, il cui dinamismo è anche qui sottolineato dai colori decisi e talvolta squillanti e dalle spirali delle rammentate ‘corone’ di chicchi (quasi come nei sai di religiosi) sinuosamente diramantisi come rivoli di vita e di pace.
Proprio questo rutilante dinamismo ci conduce “a prendere un caffè” con i Futuristi, oggetto del secondo gruppo delle sue opere qui esposte, proprio come nel caffè storico fiorentino nel quale essi nacquero poco più di cent’anni fa, le “Giubbe Rosse”, discutendo di rinnovamento, etica ed arte. In queste tecniche miste su cartone intelato divampano le saette policrome del progresso, i fuochi d’artificio, s’incendiano i collage fatti di notissime foto dei fondatori del Futurismo (immagini già riprese a simbolo in molti quadri di Mario Schifano), di vecchie riviste letterarie e di quotidiani storici come “Lacerba” o “Le Figaro”, delle icone delle Avanguardie di allora, come la bicicletta, il treno sbuffante, l’automobile o l’aereo (restituiteci talvolta attraverso il ready made neodadaista di modellini tridimensionali applicati sulla tavola), dei manifesti pubblicitari, oramai entrati nell’immaginario collettivo. Tutto questo, però, come omaggio ad un movimento di rinnovamento delle arti e della società che è stato fondamentale nel segnare la discontinuità del Novecento con il passato, ma oramai senza più nessuna incondizionata fiducia e cieco ottimismo in un progresso trionfante, anzi, forse le opere della Guetta ci vogliono trattenere da cadere negli stessi equivoci di un secolo fa.
Infine, il terzo gruppo, con gli omaggi a Michelangelo. Ancora una volta il forte cromismo senza nuance di geometrie assolute, che si richiama alle Avanguardie novecentesche (segnatamente, all’Astrazione geometrica classica di un Mondrian e all’astrazione cromatica di un Dorazio), si lega a frammenti fotografici disposti in collage di opere michelangiolesche, dove le corde reali che serrano i quadri li ‘legano’ in rapporti di tensione profonda e spirituale, forte e fiera come il temperamento del Maestro del Rinascimento e, nel contempo, definiscono rapporti ed equilibri, linee di fuga e prospettive che sono alla base della ‘maniera’ rinascimentale. Nuovamente, fra bagliori di colori estatici e spigolosi triangoli del tormento prospettico, fra corde che ‘issano’ le icone immortali, tra frammenti di balla di juta e grezzi ‘intonaci’, che accolgono gli affreschi delicati dell’anima con le sue angosce e le sue illuminanti intuizioni di infinito, ci riconducono, tramite la franca rudezza di Michelangelo, alla concretezza della quotidiana realtà e alle predette balle del caffè, mentre, fra riflessione concettuale e sdrammatizzazione sottilmente ironica e surreale, sorseggiamo il caffè della vita insieme all’arte immortale e atemporale del creatore della Sistina.
Una visione – quella di Francesca Guetta – astrattamente ideale e culturale e, ad un tempo, realistica e disincantata, ma mai esistenzialisticamente pessimistica, dove la poesia, l’arte e la velata ironia hanno in fondo il sopravvento, giocando il ruolo vincente di una parabola “evangelica” laica tutta contemporanea.
“Opera : Ma cosa hai messo nel caffè
L’opera è sonora! E’ divertente poter accostare due arti la visiva e l’uditiva e in questa realizzazione è possibile : vedere, sentire, e…gustare! L’idea della composizione è ispirata ad una canzone scritta e cantata da Riccardo del Turco. Nell’opera osserviamo che dal sonoro sacco di juta buttato in diagonale dalla parte destra ( rispetto a chi gusta l’opera ) e che rappresenta la musica ( vediamo una verde nota musicale posta proprio a marchio identificativo ), fuoriesca : Caffè! Amore! Veleno?! Il Macinino simbolo storico della nera bevanda eccitante, è il rappresentante visivo del caffè : la forma e il suo essere è reso dai chicchi di caffè, i quali , si spargano nell’opera su di un fondo viola…veleno ?! Ci aiuta sia la canzone con il suo ritornello sia nell’opera stessa il giallo fumetto che ci dice:”…ma cosa hai messo nel caffè che ho bevuto su da te ? C’è qualcosa di diverso ora in me…”.
Veleno, potrebbe essere, è il dubbio che attanaglia anche il protagonista della canzone, ma, un dolce veleno…l’amore! Rappresentato dai cuoricini rossi anch’essi buttati là nel movimento della canzone, i quali non vengono macinati dal macinino, che macina il caffè, ma non i cuori!
Anche nella parte superiore dell’opera troviamo chicchi di caffè, ma ora sono disposti in modo da formare o una ancora o una freccia che cade verso il basso, mostrante il centro dell’opera. L’ancora indica che ormai dopo aver bevuto questa pozione ( il caffè ) si è ancorati all’amore ( testimoniato, ribadito, dai cuori rossi ); se invece rappresentato fosse una freccia indicherebbe che il dardo d’amore è stato ormai bevuto. Anche i fiori bianchi che fuoriescono dal sacco di juta, rappresentano l’arrendersi al dato di fatto, ovvero che, il caffè, una volta bevuto, ha compiuto il suo prodigioso dovere.
Non ci resta che aprire tutti i nostri sensi ed immergerci in questo quadro…olfattivo!”
Opera : Caffè nero bollente
Questa composizione polimaterica è una opera artistica messa in musica, poiché, ispirata alla omonima canzone cantata da Fiorella Mannoia. Lo sfondo che è di colore giallo intenso richiama il sole, che prende forma, tramite i chicchi di caffè, nel lato sinistro rispetto a chi guarda ’opera. Centrale nell’opera osserviamo una giacca, formata dal sacco di juta, il contenitore per eccellenza del caffè appena raccolto, la quale si apre, facendo fuoriuscire una caffettiera a mò di papillon, di una cravatta a farfalla, e tre bottoni formati anch’essi da chicchi di caffè. La giacca è anche decorata, su entrambi i lati (il destro ed il sinistro ) da verdi fiori stilizzati. Un fiore bianco, ma non stilizzato, lo ritroviamo anche nella parte superiore della composizione. Al centro della creazione, sul lato sinistro rispetto a chi osserva, vediamo un viola fumetto che recita
“ …e ammazzo il tempo bevendo caffè nero bollente in questo
nido scaldato ormai da un sole paziente”. Il caffè è nero bollente perché riscaldato dalla fonte primaria di calore : il Sole che nell’opera è collocato in alto a sinistra rispetto a chi osserva, quindi i protagonisti sono il caffè nero bollente ed il sole, poiché esso è la primaria fonte di calore atto a rendere il caffè nero bollente !”
Nei Fiori: ” In questa suadente composizione Francesca Guetta si confronta con la bellezza dei fiori, narrandone le infinite sfumature e riuscendo persino a evocarne il profumo. In questo contesto figurativo, strettamente legato alla tradizione romantica, la pittrice mostra talento e sapienza compositiva nella sinfonia dei colori e in armoniosi contrasti. Luci e ombre si alternano in un gioco visionario che trasmette le emozioni di un animo poetico. ”
Archivio La Spadarina nr. 049
Critica di Giorgio Falossi inserita nel volume da “Lucio Fontana al Giubileo di Papa
Francesco 2016 “ : “ La pittura di Francesca Guetta è segnata da una ricerca di
rappresentazione storica e di riscatto sociale. L’immagine ha i simboli di una realtà
vissuta e conosciuta, che va scossa perché tende al not remember per pigrizia,
avidità o convenienza. Ed ecco l’arte, quella che non è solo segno e colore, ma è
idea, pensiero e sollecitazione. L’artista può ascoltare e svignarsela alla prima
occasione, Francesca Guetta in prima linea dà forza alla voce, vi aggiunge la scrittura
che non si presta certo a dubbie interpretazioni. Qualche simbolo completa l’opera :
filo spinato, chicchi di caffè, bandiere, stella gialla. Non solo opere d’arte ma trame
ed orditi segnici sui valori umani, oggi, come ieri, tanto spesso palesemente traditi e
calpestati. Un linguaggio aspro che si enuncia attraverso realizzazioni compositive di
simboli che coinvolgono non solo il potere ma anche l’umanità che noi tutti
rappresentiamo. Francesca Guetta ancora una volta ci riporta non tanto alla pittura
quanto ad un universo artistico al messaggio globale, non figure appesantite a vario
titolo da servitù, ma l’intrecciarsi di motivi, oggetti, sapori ed odori, che accostati
sono gli avvenimenti di una umanità piegata e umiliata dal male di vivere. Agili ma
rigorose inquadrature stese sempre frontalmente, l’artista ne usa la superficie per
distendervi in piena luce oggetti, tracce colorate, ragionamenti e pensieri “.
Recensione critica di Paolo Levi riportata sul catalogo Primo Trofeo
Internazionale Arte Impero, Parigi – Vienna – Roma, Ea Editore :
“Nei lavori di Francesca Guetta viene declinata la tecnica del
collage con estrema eleganza e armonia : colore, oggetti di varia
natura, tessuti, testi si dispongono sul supporto trasmettendo un
messaggio ludico, che però allo stesso tempo induce l’osservatore
a riflettere sul mondo contemporaneo. Un vibrante ordito materico
si stende in coreografie frammentate sul supporto, dove alle
campiture uniformi e vivide si giustappongono brani di scrittura,
oggetti di uso comune, ritagli di giornale, dando vita ad un
linguaggio personalissimo elaborato dall’artista capace di esaltare
le potenzialità espressive delle diverse componenti utilizzate. In
questo suo continuo percorso di ricerca e di sperimentazione,
Francesca Guetta svela particolari che scaturiscono dall’inconscio.
Questi lavori sembrano mappe psichiche in cui le vibrazioni
materiche tracciano il sentiero misterioso dell’impulso creativo,
lasciando all’osservatore il compito di ricostruire le connessioni
sottese alla narrazione dei suoi collage.”
Critica di Alessandra Macchitella per Terezin inserita nel catalogo Premio Taras per l’Arte, 2017 : “ Un pigiama può essere torturato. Lo dimostrano le righe straziate dal dolore. Come un triste sipario scendono da un lato e dall’altro, solo il nero può raccontare ciò che è stato. Nel mezzo il bianco, la luce, farfalle svolazzanti gialle e rosse, simboli di una libertà che si è persa con l’umanità. A negarla un filo spinato. “
“Critica di Arianna Fantuzzi ed Anthea Notarangelo con la supervisione di Gianni Dunil inserita nel catalogo Esposizione Triennale di Arti Visive a Roma 2017 – Aeterna , Start Edizioni : “ Artista fiorentina, Francesca Guetta intraprende la sua carriera negli anni Duemila studiando pittura presso il C.U.E.A. di Firenze. In seguito perfeziona la sua tecnica a contatto con diversi maestri, tra cui Andrea Sole Costa, Aida Teran e Giuseppe Ciccia. I suoi dipinti uniscono all’aspetto fortemente materico una natura ordinata che si oppone al caos degli elementi attraverso una sobria e calibrata disposizione. Il serio studio della composizione induce Guetta a realizzare dipinti in cui domina l’equilibrio delle forme, seguito dalla scelta delle cromie, sempre piuttosto accese. I suoi lavori spaziano dal figurativo all’astratto, testimoniando la vivacità espressiva dell’artista. I collages e gli assemblages , in particolare, uniscono elementi tratti dalla realtà e in grado di restituire un ‘immagine possibile del mondo, rielaborata attraverso la fusione dei materiali. In “ Puzzle “ , Francesca Guetta mette in scena l’avvicendarsi di forme differenti, unite da una malta grigia che ne cattura i lembi arrotondati. Sul fondo disomogeneo spiccano le diverse tonalità dei colori pastello ( grigio, bianco, giallo, rosa ) che amplificano con la loro presenza la percezione positiva dell’opera. I tasselli cromatici sembrano trovare la propria direzione nel centro dell’opera, dove vengono raccolti gli elementi più piccoli e disordinati, pronti per essere incastonati agli altri “.
Critica di Alessandra Macchitella per B7456 inserita nel catalogo Premio Taras per l’Arte, 2017 : “ Una stella che era scudo diventa prigione. Lo sfondo nero e netto, come la storia dell’uomo può diventare, una linea rosso sangue trancia in due un simbolo spinato. A sinistra come due triangoli sovrapposti, scritte e documenti, normalità schiacciata da volti che chiedono “ è questo un uomo ?”. A destra le foto, schedati e pronti all’ingresso per la fine del mondo. “
Cenno critico redatto da Daniela Pronestì in occasione della mostra personale “Dialoghi in divenire“ tenutasi presso Simultanea Spazi d’Arte, Firenze:
“La parola d’ordine nell’opera di Francesca Guetta è molteplicità, sia per quanto riguarda le tecniche adoperate, unendo alla più tradizionale pittura il collage polimaterico e l’assemblaggio di materiali recuperati nel quotidiano, sia per quanto attiene l’immaginario evocato, spaziando dal soggetto naturalistico trasfigurato in chiave astratta ( Fiori ) o riletto in un’ottica ambientalista ( La natura imbrigliata ) ai personaggi della cultura popolare ( Homage to George Michael ) o del mondo artistico ( Omaggio a Michelangelo ) raccontati con un linguaggio iconico-cromatico. Pur essendo opere perfettamente autonome nel significato, le accomuna il divenire di un processo creativo da sempre aperto alla sperimentazione tecnica e all’ibridazione linguistica, ora operando un incrocio tra generi ora sconfinando da un genere ad un altro per mezzo della tecnica. Non meno importante il ruolo del colore, chiamato ad “aggregare” i diversi livelli espressivi e di significato sia all’interno di singole opere ( NY2017 ) che in maniera più corale tra i vari cicli della sua produzione.”
“ La ricerca dell’origine può compiersi attraverso molteplici strade, l’Artista ha scelto di guardare il Mondo dall’alto per coglierne nel complesso il più riposto senso. Pura materia è l’Universo che l’uomo deve guardare dall’altezza del cielo, con distacco e serenità, affinché il suo percorso, quello a cui per natura è destinato, non venga distorto dalla materia vile, grigia, complicata ( ma profonda e insondabile ) che nulla a che fare con la tinta diafana del cielo. La vera vocazione dell’uomo, però, è l’ascesa, fortemente partecipata, verso la Luce, forte, dinamica, prepotente, ondeggiante a tratti inquietante, misteriosa e piena di fascino, ma dinamica e bella, se contrapposta alla materia immobile, sterile, grigia, strana ed estranea all’uomo, che , però ne è prigioniero. “
Critica inserita nell’Atlante dell’Arte Contemporanea De Agostini 2019 con il
coordinamento scientifico di Daniele Radini tedeschi e Stefania Pieralice : “ La pittrice
fiorentina Francesca Guetta, da sempre attratta dall’arte, inizia a studiare pittura dal 2004
presso il C.U.E.A. di Firenze. Successivamente approfondisce la propria formazione
artistica presso scuole e laboratori di pittori fiorentini, e partecipa a diverse esposizioni
nazionali e internazionali, quali l’Esposizione Triennale di Arti visive a Roma, presso il
Complesso monumentale del Vittoriano Ala Brasini. La produzione di Guetta è assai varia
sia da un punto di vista tecnico-formale che stilistico. L’utilizzo di diversi materiali e la
capacità di rappresentarli attingendo da correnti artistiche storicizzate danno vita ad opere
stravaganti capaci di suscitare stupore e attrazione nel fruitore. Zyrardow a tal proposito è
un’opera concepita come collage di diversi materiali disposti in maniera casuale su un
legno di pioppo. La città polacca del distretto di Yrardòw, nel voivodato della Masovia, è
riprodotta, allegoricamente, tramite degli stralci di immagini che rappresentano la sua
celebre cattedrale o le strade cittadine. Sulla tavola di legno sono disposti anche dei
rocchetti di cotone: un richiamo all’importanza della città quale centro dell’industria tessile
più importante della Polonia.
Critica inserita nell’Atlante dell’Arte Contemporanea De Agostini
2020 con il coordinamento scientifico di Daniele Radini Tedeschi
e Stefania Pieralice : “ Artista fiorentina ha da sempre avuto una
particolare attrazione verso il mondo dell’arte. Comincia a
studiare pittura nel 2004 presso il C.U.E.A. di Firenze e
successivamente approfondisce la propria formazione artistica,
frequentando corsi e laboratori di pittori fiorentini. Quello di
Francesca Guetta è uno stile colto e trasversale, che spazia dal
collage futurista al Nouveau Realisme declinato nella versione
accumulatrice di Arman. Ella sviluppa un’astrazione non assoluta,
la quale frantuma l’idea di una visione unitaria rappresentativa del
reale e da cui emerge un concettualismo che tiene le fila di una
nuova comunicazione significativa. La nostra riprende la sacralità
del ready – made duchampiano, ponendolo in un contesto
funzionale, rinnovato nel suo significato. Ad esempio, quando su
una tavola appaiono dei rocchetti di cotone la scelta visiva non è
casuale o fine alla mera celebrazione oggettuale, ma si configura
piuttosto come un richiamo all’importanza di una città in qualità di
centro dell’industria tessile. Nelle sue opere, la distruzione della
figura non sempre diviene azzeramento iconico, poiché questa
ultima si mantiene frastagliata e disomogenea sulla superficie
bidimensionale. Attraverso frammenti di realtà, i quali vengono
messi in relazione secondo un nuovo ordine, scaturito direttamente
da un sentire interiore, si vuole porre il focus dell’attenzione su
valenze etico-sociali rilevanti. Il risultato si esplicita mediante
creazioni dalla forza evocativa prorompente che spaziano dal tema
naturalistico a quello popolare, per giungere al mondo artistico. Il colore interviene come deus ex machina per l’intersezione dei diversi piani espressivi, i quali confluiscono in un unico canale comunicativo.
Francesca Guetta è un’artista complessa, che sarebbe riduttivo definire semplicemente “pittrice”. soprattutto le sue opere eseguite su cartone telato montato su tavola, infatti, presentano un’articolata stratificazione e giustapposizione di materiali – anche tridimensionali – tale che possiamo parlare di vere e proprie “pittosculture”. nei suoi quadri è evidente il richiamo – per cromie e gestualità del segno – alla pop art, sia di matrice americana che italiana e a quella che fu definita la risposta europea all’arte popolare americana, vale a dire al Nouveau Réalisme nato sotto l’egida di Pierre Restany e, in particolare, a quello interpretato da Arman con le sue ‘accumulazioni’. Vi sono, però, delle sostanziali differenze, che conducono l’arte della Guetta ad un’assoluta originalità, come ho avuto già modo di dire in altra occasione. come si sa, il movimento nato in Francia negli anni sessanta riprendeva il concetto del ready-made dadaista, cioè quello di un oggetto di uso quotidiano e prefabbricato, isolato dal suo contesto funzionale ed elevato da un artista ad opera d’arte solo tramite la nuova contestualizzazione in Arman – che felicemente si definì come “un peintre qui fait de la sculpture” – l’inserimento di oggetti distrutti valeva ad esprimere l’ingranaggio assurdo del consumismo, che fa perdere ogni valore a quello che pragmaticamente non serve più. Guetta, invece, impiega solamente alcuni determinati oggetti ‘riusati’ e talora recuperati da angoli dimenticati di polverose soffitte, ma sempre strettamente connessi al tema che vuole trattare e mai vere e proprie ‘accumulazioni’ quasi indifferenziate di oggetti in disuso, rotti e privi di valore e significato, da recuperate ad una dignità e valenza simbolico-artistica. la sua opera – altamente concettuale e sempre legata a temi sociali ed universali – è un vero e proprio percorso catartico di autocoscienza culturale che l’artista segue possiede un filo conduttore tramite il quale l’autrice vuole farci riflettere su realtà profonde. Una visione – quella di Francesca Guetta – realistica e disincantata, ma non esistenzialisticamente pessimistica, sempre velata di un’aurorale speranza. Questo non viene smentito neppure in questa occasione. l’istallazione qui presentata – Mai più – già esposta (con varianti) a roma, è costituita da un ‘quadro’ inserito in un’ambientazione altamente simbolica ed evocativa, fatta per frammenti di ‘cose’ che illuminano la memoria. come sua consuetudine, la tela quadrata, che domina al centro della scena, è interamente ricoperta da un collage di fotografie d’epoca: nella striscia centrale del quadro possiamo osservare l’entrata ferroviaria di auschwitz ed un vagone di treno adibito al trasporto degli ebrei; sul lato sinistro e su quello destro foto tratte dal famoso KZ Bildbericht aus fünf Konzentrationslagern, il quadernetto stampato dagli alleati in lingua tedesca con i risultati delle prime ispezioni condotte dalle truppe alleate nei campi di concentramento di Buchenwald, Belsen, Gardelegen, Nordhausen e Ohrdruf. allora venne realizzato per svegliare le coscienze di tutti quei Tedeschi che non avevano potuto o voluto vedere le atrocità commesse dai nazisti, oggi è un viatico di una vigile memoria perché ciò non si ripeta, appunto, “mai più”. infine, al centro, la famigerata lista della popolazione ebraica da eliminare in tutta Europa, stilata da Adolf Eichmann per la conferenza di Wannsee del 1942, dove fu lucidamente pianificata la “soluzione Finale della Questione ebraica”. in basso, a sinistra, emerge dal nitido bianco-nero delle precedenti foto l’immagine ingiallita dal tempo dell’originario Diario di Anna Frank, tuttora esposto nella casamuseo di Anna Frank ad Amsterdam. nel turbinio oscuro dei ricordi e della memoria che schiacciano l’uomo come in un insostenibile incubo, nel ‘nero’ pessimismo asfissiante, però, ecco che in alto, sempre a sinistra, ‘esplode’ come un flash la fotografia dell’iscrizione trilingue posta all’entrata del “giardino dei giusti” nel museo Yad Vashem a Gerusalemme, giardino sorto nel 1960 per volontà di Moshe Bejski, uno dei salvati da Oskar Schindler. con questo, Francesca Guetta, quale segno di speranza e di luce, ha inteso rammentarci come non tutti allora finsero di non vedere e di non sapere, ma vi furono anche taluni che, a rischio della propria vita, aiutarono gli ebrei, appunto i Giusti fra le Nazioni. come sua consuetudine, Guetta arricchisce l’opera tridimensionalmente di oggetti quasi neodadaisti, ma, come si è ricordato precedentemente, non casuali e decontestualizzati, quindi con significati totalmente lontani dal New Dada e dal Réalisme armaniano. riprendendo formalmente – pur con varianti – quella che dagli anni Duemila è divenuta la ben nota e riprodottissima foto-ricostruzione-icona del giorno della memoria, sul collage predetto (quasi un muro stratificato, un palinsesto di ‘manifesti’ che si sovrappongono, dai lontani echi di quello che è stato il decollage europeo e noto soprattutto attraverso la sperimentazione rotelliana) guetta applica una camicia tipica dei prigionieri dei lager, sporca, consunta e strappata (pur essendo una riproduzione). su tale camicia (schiacciato bassorilievo, a differenza di altre sue ‘accumulazioni’ di oggetti su tela, che invece sono decisamente a tutto tondo) due elementi. il primo è la tipica stella di stoffa gialla degli internati ebrei, cucita sulla camicia, nella sua variante con il triangolo rosso dei prigionieri politici, e con la lettera “i” in riferimento alla nazionalità italiana del simbolico ebreo. il secondo è la trascrizione – manoscritta su un lacerto di tela, poi cucito alla casacca – della poesia di primo levi inserita come prefazione al suo libro Se questo è un uomo (vedasi il testo in appendice). Quattro ricorsi orizzontali di autentico e luccicante filo spinato ‘inchiodano’ la casacca – punto cromatico senza nuance di geometrie assolute, che si richiama alle avanguardie novecentesche e che accende la tela e si focalizza nel rosso sangue del’‘acuminato’ triangolo della predetta stella – imprigionano la tela stessa e l’avviluppano nel turbinio angosciante del passato, con formali richiami – ma solo formali – alle corde, anch’esse reali, che ‘legano’ alcuni quadri della Guetta nella serie degli Omaggi a Michelangelo, corde che, in quel caso, serrano i quadri in rapporti di tensione profonda e spirituale, forte e fiera come il temperamento del maestro del rinascimento e, nel contempo, definiscono rapporti ed equilibri, linee di fuga e prospettive che sono alla base della ‘maniera’ rinascimentale. come sottolinea l’artista, riprendendo una tradizione tipicamente ebraica,“ho deciso di inserire a terra dei sassi per ribadire il concetto del ricordo: ci ricordiamo di quello che è successo, facciamo in modo che la memoria sia presente, che se ne parli”. inoltre, le “pietre della memoria” rappresentano – fisicamente e simbolicamente – un bianco punto di luce in contrapposizione al nero plumbeo e assoluto del fondale. un nero fondale di stoffa, infatti, accoglie la tela e si estende pure a terra, dove si trova l’istallazione, costituita da un grezzo panchetto – inserito a ricordare il mobilio estremamente povero delle camerate dei campi di concentramento – e dalla rossa fiammante bombola del gas (con l’iscrizione “mai più”, scritta quasi pop a caratteri neri entro un cerchio bianco), sulla quale è appesa una maschera antigas. Tutto ciò perché l’installazione vuole essere dinamica, vale a dire il visitatore non deve essere solo ‘osservatore’, ma, se lo vuole, può prendere la maschera antigas, indossarla, sedersi sul panchetto, osservare dal ‘di dentro’ e meditare, protetto dalla maschera, che allude anch’essa – come il riferimento al giardino dei giusti – alla speranza al di là del ricordo ‘funereo’, che, se privo di bagliori aperti ad un futuro che si auspica migliore, rischia di divenire retorico e, in ultima analisi, sterile. sul panchetto l’autrice – come segno particolare della sua memoria individuale, ma che diviene poi universale – pone la radio che già fu di suo nonno guetta, da lui impiegata, quando si nascondeva dai Tedeschi perché ebreo, per ascoltate la speranza di radio londra. l’installazione, infine, si dilata lateralmente con una serie di valige dell’epoca – più importanti e maggiormente umili, a ricordarci che non tutti gli ebrei erano ricchi, come un falso luogo comune vorrebbe farci credere – che testimonia quell’ultimo viaggio senza ritorno. così, fra bagliori di punti di colore e spigolosi triangoli e fili spinati del tormento, fra frammenti di pensieri e scritti che divengono icone immortali della memoria, tra lacerti di casacche di uomini ridotti allo stato vegetativo e grezzi ‘muri’ di foto in bianco-nero, che accolgono l’azzeramento e la resurrezione dell’anima umana, con le sue angosce profonde come il gorgo di un incubo paralizzante e con le sue illuminanti intuizioni di speranza, Francesca Guetta ci riconduce alla concretezza della realtà priva di retorica, fra riflessione, memoria e speranza, osservando senza sentimenti di castrante vendetta quello che è stato il più grande genocidio nella storia dell’umanità.
Critica di Giampaolo Trotta pubblicata nel catalogo “Il segno della memoria”, seconda edizione, Limonaia di Villa Vogel, Firenze.
“ Umiliata, violata, ridotta a mero scarico di rifiuti; così è la natura a cui le opere di Francesca Guetta si riferiscono per narrarne il dramma e immaginare al contempo un futuro diverso. Una presa d’atto capace di rompere i vincoli entro cui l’ambiente naturale si trova “imbrigliato”, come uno schiavo ridotto in catene dall’arroganza dell’uomo. Creazione complesse, quelle della Guetta, stratificate nei significati così come nella varietà dei materiali recuperati ed assemblati dall’artista a simboleggiare, proprio attraverso un’ardua elaborazione formale, quanto difficile sia sensibilizzare la coscienza collettiva sulla questione ambientale. I primi ad essere “imbrigliati” nella trama che avvolge l’opera – frammenti di corteccia, alluminio e colore composti in modo da ricordare zolle di terra e specchi d’acqua – siamo noi, ciascuno di noi, ogniqualvolta assumiamo comportamenti dannosi per l’ambiente, incuranti del danno arrecato anzitutto a noi stessi.
“ Imbrigliata “ è la natura, prigioniera, com’è, degli effetti di uno sfruttamento selvaggio, vittima di continui abusi che innescano un processo senza ritorno. Un tema più che mai attuale con cui l’artista da tempo si confronta prestando l’esperienza maturata negli anni in pittura alla formulazione di un linguaggio ibrido, connubio di forma e colore, recupero e combinazione di materiali naturali e artificiali riuniti insieme a significare l’azione dell’uomo contrapposta alla libera creatività della natura. Opere da percorrere con lo sguardo, seguendo il filo rosso che intrappola e al contempo preserva questi frammenti di natura da ogni aggressione esterna. La funzione di questo elemento espressivo, infatti, è ambivalente: da un lato, evoca ciò che nega e soffoca la vita, l’abbraccio mortale di una forza distruttiva; dall’altro protegge il corpo dell’opera e lo vivifica come fosse linfa. Lo ritroviamo in tutte le opere della serie “La natura imbrigliata “, come a sancire la continuità concettuale e stilistica di un progetto in cui si condensano, giungendo a maturazione, gran parte delle sperimentazioni fin qui condotte dall’artista integrando diversi medium e codici espressivi. In questo caso, il ricorso alla forma ibrida del quadro-scultura le permette di ottenere effetti di verosimiglianza volti ad evidenziare la mistificazione del concetto di natura in una società che sempre più confonde verità e artificio, autenticità e finzione. Per Francesca Guetta non ci sono altre strade da intraprendere, dunque, se non quella che conduce a ritrovare un contatto profondo con se stessi e con l’ambiente circostante per ripristinare l’indissolubile ed arcaico legame tra uomo e natura “.
Critica redatta da Daniela Pronestì sulla serie “ La natura imbrigliata “ pubblicata sulla rivista La Toscana nuova – anno 3 – numero 8- settembre 2020 – sezione occhio critico
Critica redatta da Giorgio Falossi ed inserita all’interno del Volume “ Leonardo 500 anni di Arte “, Edizioni Il Quadrato a cura di Giorgio Falossi e Lorenzo Cipriani, 2019 : “ Gesto, segno e colore sono tutti elementi che concorrono nella pittura di Francesca Guetta alla necessità di comunicare nella massima libertà la sua intensa partecipazione alle modulazioni della Natura, al progredire della civiltà dell’uomo, alle speranze di un futuro. C’è un ritmo in queste sue opere. Il segno incide gli spazi, la luce è ricavata dal bianco in una composizione che è anche armonia, ordine ed invenzione, pur trattando un tema di disordine mondiale. Una ricerca per un linguaggio rapido ed efficace con una pittura che tende alla semplificazione, alla essenzialità perché il tempo è finito. Francesca Guetta dipinge frammenti alla deriva, legami spezzati e paesaggi devastati. La sua pittura evoca non inveisce. Colori imbrigliati e bianchi sporchi in una intonazione nella quale si misurano i frammenti in un rincorrersi, in un alternarsi di spazi e quel poco di azzurro è destinato non alle rondini del cielo ma ai migranti del mare. Particolari presentati con una accortezza attenta e reale, accompagnata da scritture casuali di parole comprensibili che affondano come ferite, come tagli profondi, nella corteccia degli alberi, nella tela del mondo. “
Critica redatta da Sandro Serradifalco inserita nel periodico d’arte bimestrale Art Now, numero VI, anno III, novembre/dicembre 2020 ed utilizzata anche nel contesto della trasmissione televisiva “Eccellenze Italiane – Storie di Artisti ; la differenza che fa la differenza” andata in onda il 23 marzo 2021 su Odeon TV ( canale 177 del digitale terrestre ): “ Le composizioni informali dell’artista descrivono stratificazioni magmatiche di colore dove si ravvedono innesti di stoffe e altri materiali dal forte richiamo simbolico. Il tratto denso dell’artista esegue striature che si sovrappongono, con campiture larghe che rivelano una gestualità istintiva ma ben preordinata. Sottili sfumature declinate nei toni del bruno animano le linee morbide tracciate da Guetta, che riproducono con efficacia l’infinita gamma dei cromatismi che appartengono alla terra, dove il ricorso al polimaterismo conferisce spessore scultoreo ad alcuni particolari. Essenziali nelle linee e nei cromatismi, questi lavori dai colori caldi rivelano le fenditure da cui sgorga l’energia interna del nostro pianeta, che a volte è silenziosa e portatrice di fertilità, altre volte violenta e inarrestabile nella sua irruenza distruttiva. Si tratta con tutta evidenza di simboli, metafore visive che ci ricordano la necessità insita in ognuno di noi di dialogare e di trasmettere i nostri sentimenti attraverso le vie della poesia. Ma anche testimonianze storiche del recente passato che inducono a una riflessione più ampia e complessa. L’autrice compie dunque una riflessione sul ruolo essenziale dell’arte anche nell’epoca della tecnologia, dimostrando come sia rimasta ancora lo strumento più efficace per trasmettere le nostre emozioni.”
Recensione del prof. Diego Fusaro redatta per la monografia Francesca Guetta – Talenti – Collana d’Arte a cura del prof. Diego Fusaro, organizzazione a cura della Precis Arte di La Sorsa Lucia, 2022
Un’esplosione di colori primari e complementari spezza le catene, le briglie e i lacci
della patina lucida, prodotto di una società ultracapitalista, permettendo il passaggio
dalla superficie esterna all’interno dell’occhio del ciclone. Un’intricata selva dantesca
di grovigli materici e tinte sature in cui si può identificare il punto fermo nella parola, la
quale si fa protagonista assoluta nelle opere dell’artista fiorentina Francesca Guetta
sia nei lavori in cui è presente sia in quelli in cui è assente in forma fisica, ma che
possiamo ritrovare metaforicamente tradotta in applicazioni materiche ed effigi di idoli
in una sorta di reazione chimica incompleta e reversibile; reagente e prodotto in un
gradiente osmotico che sposta lo sguardo dal concetto all’oggetto e viceversa, creando
un soggetto innovativo e sostenibile, in quanto concettualmente “riciclato” dalla
lezione dei grandi maestri dell’ormai totalmente superata arte moderna.
Nel vortice di heideggeriana memoria, il sensibile espresso nel materico si deposita
come polvere di stelle, detriti cosmici e anime sbattute dal vento, lussuriose di un
consumismo tutto POP, sul supporto scelto dall’artista che diviene l’occhio, il perno,
il punto focale nascosto all’interno, l’archetipo primitivo su cui sono costruite le fondamenta
della modernità in una narrazione onirica in cui Banksy graffita assieme a
Magritte dopo essere arrivati in “after” a lezione da Duchamp ed essersi seduti comodamente sui suoi orinatoi appesi al muro, cavalcando il gap generazionale sul dorso
destrutturato e anonimo degli equini decapiti del contraddittorio Cattelan da cui viene
presa in prestito la forma gerarchica e caotica della sua megalomane idea di installazione
che, tradotta nel linguaggio eclettico e polifonico dell’artista fiorentina, si traduce
in un complesso schema prospettico guidato da rette e geometriche linee di forza
dal sapore futurista, il tutto condito con quel dinamismo tanto caro a Boccioni e Carrà.
Il trait d’union, il significato, il filo rosso che lega, imbriglia, costringe su un supporto
piano volumetrie e frammenti naturali è proprio la parola sintesi di tutto il mondo
concettuale: espressa, nella poetica dell’artista Guetta, in un new dadaismo più reale
del Re, ritagliata dai rotocalchi come in una nuova versione di Guernica, incarnata
e incartata, nel religioso senso del termine, nei volti delle celebrità santificate, resa
didascalia esplicativa e aforisma mantrico della “buona giornata” in esposizione nei
migliori caffè urbani volta a ricordarci, in quel raro momento di pausa, che dovremmo
prenderci il tempo per osservare ed apprezzare l’essenza, ciò che davvero importa,
buttando alle nostre spalle il ciclone frenetico del quotidiano, non luogo in cui analisi
e discernimento sono annullati; ne va della coscienza collettiva e personale che viene
rivoltata e persa fino a tornare al Kaos originale, producendo Titani grandi e grossi che
si impongono contro il popolo inerme cantato dal coro dell’Adelchi, sprofondata nel
sonno della ragione, già immaginato in tempi lontani da Goya che aveva inciso nei
suoi “capricci” un monito per i popoli venturi contro l’incubo dell’oscurantismo contemporaneo dal quale, senza uno sguardo critico, risulterebbe impossibile prendere le distanze e dissentire.
Cenno critico della Dott.ssa Mara Ferloni inserito nel Volume Art Best Seller ! 2021 edito dall’Associazione Internazionale Galleria Il Collezionista in occasione della mostra Art Best Seller ! 2021 presso il Museo Bellini di Firenze : “ Le opere realizzate in materiale polimaterico ed alluminio mostrano una particolare sintesi espressiva simbolica e una moderna interpretazione che vuole evidenziare la problematiche ambientali nelle quali l’uomo “ imbriglia “ la natura
Mara Ferloni
critico d’arte, giornalista / art critic, journalist
Testo critico redatto da Ivan Caccavale per la mostra personale “La natura imbrigliata “ tenutasi presso la galleria White Cube di Veroli
Pino Pascali, con il suo intento di rivitalizzazione del singolo oggetto e con il ricorso frequente a materiali semplici, mirava a configurare l’opera d’arte quale una vera e propria esperienza sensibile, con un approccio da artigiano, da autore di azioni: alla luce di ciò, a buon titolo, egli si può considerare un precursore dell’Arte Povera. Francesca Guetta, fiorentina, consciamente o meno, in quanto artista con DNA occidentale e in particolare italiano, dimostra una certa tangenza con tale importante figura storicizzata, sicuramente a livello di intenti, seppur con quella caratterizzazione tipica che fa di ognuno di noi un unicum inimitabile e irripetibile.
Diceva Pascali: “Io cerco di fare quello che mi piace. Fare in fondo, è l’unico sistema che per me va bene”. Un richiamo forte alla manualità quindi, ben palese, ad esempio, nella creazione delle c.d. False sculture, realizzate a partire da legni, tele, lana d’acciaio, paglia, raffia; parallelamente, la Nostra ci abitua a composizioni derivanti dall’uso di materiale di riciclo, di reimpiego, in cui si percepisce un non trascurabile impegno sociale. L’autrice toscana si confronta col reale contingente e si interroga, leggendo e decodificando messaggi e comunicazioni che recepisce dalla realtà in cui è inserita, attraverso i mass media; le sue opere talvolta suggeriscono, talvolta affermano.
Alla luce di ciò nasce e prende forma il ciclo La Natura imbrigliata, che colpisce per la coerenza sottostante ogni opera ad esso afferente. Si è abituati a declinare secondo un’accezione negativa l’aggettivo “imbrigliato”: il pensiero comune, infatti, rimanda la mente ad un qualcosa che impedisce le normali attività di locomozione, ad un elemento ostativo rispetto ad un’azione. In tal caso, sono i processi e i meccanismi naturali ad essere inibiti, continuamente alterati dagli interventi sempre più invasivi per mano dell’essere umano. D’altro canto, quello spago rosso onnipresente, cifra stilistica della serie, che va a legare e congiungere tra di loro le varie parti di cui si compone ogni singola opera di questo filone, sembra quasi rivelare un intento protettivo, di salvaguardia.
Rosso dunque, colore squillante, legato al concetto di amore, di passione (dal latino passio, sofferenza), ma al contempo associato all’idea di allarme, di emergenza; esso è rivelatore di una certa volontà, dell’artista, di preservazione dell’ecosistema mondiale, ma anche di una evidente preoccupazione, anzi inquietudine, legata alle problematiche ambientali così urgenti che l’umanità è chiamata a risolvere in tempi stringenti e pressanti. Così inquadrati, tali lavori si succedono paratatticamente dinanzi l’osservatore, dimostrando tuttavia una propria autonomia nell’economia generale, con un virtuoso gioco di nodi, ora semplici ora complessi, a dar vita a forme floreali e geometriche.
Ivan Caccavale
storico, critico e curatore d’arte /art historian, art critic and art curator
Critica redatta da Silvia Ranzi pubblicata sulla Rivista Pègaso N. 211, settembre-dicembre 2021; quadrimestrale di Cultura, Arte, Costume fondato nel 1929 da Ugo Ojetti ed intitolata Francesca Guetta Iconografie Simboliche
Francesca Guetta, originaria di Firenze dove vive e lavora, ha all’attivo una carriera artistica pluriventennale dal brillante excursus produttivo, costellato di partecipazioni a Concorsi e Rassegne d’arte di rilievo, in Italia ed all’estero, con il perseguimento di Premi , opere presenti in Collezioni pubbliche e private, recensita in più di cento cataloghi, con allestimento di Personali macrotematiche, registrando apprezzamento della critica e del pubblico in Gallerie e sedi storiche prestigiose sul territorio nazionale, avvalendosi di tagli culturali proposti dalla sua eclettica visionarietà.
La sua originale poetica stilistica rivela l’adesione ad un’estetica caleidoscopica e poliedrica per le ascendenze rivisitate, animate da versatili urgenze interiori. La prassi artistica, concettuale e pragmatica al contempo, sposa il fascino per le Avanguardie del ‘900, spaziando dall’action painting espressionista al dinamismo Futurista dalle vivide cromie ed intermittenti punti di fuga, campiture impreziosite da ritagli a collage, per affidarsi al ricorso del ready made Pop di derivazione New Dada, privilegiando la resa esecutiva della bidimensionalità pittoscultorea e cimentarsi anche in opere installative.
Carismatico il ciclo proposto alla Personale “ Un caffè con Michelangelo ed i Futuristi” (Novembre 2015) presso l’antica Società Circolo degli Artisti “Casa di Dante”, in cui il suo estro mette in scena il dialogo tra epoche diverse secondo i climi culturali presenti nei suoi geniali artefici: l’Umanesimo Rinascimentale di Michelangelo nella sua potenza plastica incontra dialetticamente le rappresentazioni Futuriste sull’industrializzazione imperante, dominata dalla velocità, alla ricerca del Nuovo, nell’alternanza emblematica tra passato e presente a confronto.
Il crogiuolo informale polimaterico messo in atto nelle sue ideazioni tra sentimento e ragione, accorpando segno e gestualità del pigmento in stratificazioni magmatiche dai variegati cromatismi e trame stilizzate, avvalorato da inserzioni figurali ed oggettuali quali reperti della contemporaneità, genera combine-painting originali che rendono propositive le appropriazioni sociologiche dei suoi temi a sfondo ambientale ed etico-sociale per sensibilizzare la coscienza dell’uomo postmoderno.
La sua fattività estetica recentemente si è votata a interpretare gli archè primigeni dell’universo sensibile dei quattro elementi, in omaggio alla materia primordiale, come si evince dal ciclo presentato nella miniPersonale della Rassegna “Terra madre” (2019 ) al fine di promuovere la tutela della Natura contro gli abusi tecnologici ed il depauperamento delle risorse planetarie, giungere a dar voce alla denuncia dei Femminicidi, considerare i fenomeni migratori, partecipando in ultima analisi alla significativa Rassegna ” Il segno della Memoria”(2016) presso la Limonaia di Villa Vogel Q.4 a Firenze per la salvaguardia dei valori inclusivi di Pace contro i crimini di guerra, sul dramma umano della Shoa, persecuzioni e genocidi.
Da autentica ambasciatrice del valore identitario dell’Arte nella libera espressività dei codici adottati , le sue creazioni captano l’attenzione del fruitore su opere dalle iconografie ricche di simbolismi formali nella fecondità delle istanze interiori, da meritarsi la calzante definizione di “Metafore visive” da parte del critico Sandro Serradifalco.
Silvia Ranzi
Critico d’arte e scrittrice /art critic and writer
Recensione della Dott.ssa Maria Araceli Meluzzi redatta per il Catalogo generale degli artisti selezionati dalla Precis Arte 2021, volume a cura di Maria Araceli Meluzzi e Lucia La Sorsa, Print Me S.r.l. Editore : “Poetessa della materia in tutte le sue sfaccettature, Guetta è artista del polimaterico più autentico. Sebbene di primo acchito il sottotesto appaia ermeneutico, d’un tratto i versi che lo compongono acquistano significato gradualmente. La simbologia è chiara, il climax evidente e ricco di significato. Quasi sono da intendersi i colori protagonisti di un sentimento disturbante fatto di segnali ossimorici. Il fine sottile è indubbiamente quello di imprimere nella mente concetti imbrigliati ma ricchi di luce nel loro significato, impreziositi dalla vena pioniera dell’artista che ha ancora molto da dire e da riciclare. “
Recensione della Dottoressa IFF( Isabella Fortunato Fedriga ) pubblicata su IconArt Magazine, sezione Note d’Arte : “Concettuale e materica, sociale e solidale, di tendenze pop ma con incursioni nel Futurismo… L’arte di Francesca Guetta è esplicitazione reale e originale di un’intimistica considerazione sul mondo contemporaneo e le sue dinamiche economico-sociali che fa, delle correnti artistiche novecentesche, riferimento per elaborare il suo singolare e personale linguaggio. L’artista racconta la sua visione della realtà attraverso un’interconnessione tra materiali differenti e tematica affrontata, giustapponendo gli elementi in modo da trovare una corrispondenza, giocosa e affine, di segni e significato che ha il ne ultimo di muovere alla riflessione. Così è in “Macinando…macinando”, opera che appartiene alla serie sul caffè, in cui la composizione si costruisce con un chiaro intento dialogico ed esortativo. Sulla tela colori, materiali, elementi si dispongono come segni grafici sulla carta. Parole fatte di materia e colore stratificate sulla superficie che comunicano un messaggio sociale di una cooperazione e di uno sviluppo ecosostenibile. Rintracciando linguaggi che rievocano una matrice futurista dalle contaminazioni pop e dalla potenza evocativa fumettistica, l’opera appare come una sorta di collage tridimensionale, dove gli elementi costitutivi vanno dalla presente fisicità di odorosi chicchi di caffè ad un vero macinino, ai ritagli di immagini di carta su un fondo in cui si stagliano cartone e juta in un incontro scontro cromatico. Tutto concorre ad esplicitare la rappresentazione simbolica della filiera della produzione e commercializzazione equa e solidale del caffè. Così l’immagine del cesto di frutti di caffè appena colti e la mano che regge i chicchi tostati evocano le piccole realtà dei paesi produttori, mentre il macinino diventa espressione dei mercati europei.”
Testo critico di Ivan Caccavale per Francesca Guetta :
“ I prodromi dell’attività artistica di Francesca Guetta rientrano nell’alveo di un realismo figurativo in senso tradizionale, allontanandosi dal quale concepisce e concretizza diversi stilemi, associandoli, di volta in volta, a bagagli concettuali diversificati.
Tra ready-made e creazioni ex novo, si noti come la pittura diventi pitto-scultura, rivelando quel legame forte e indissolubile con la manualità, una manualità creativa e raffinata, capace di intessere validi rapporti con il testo.
In tali orchestrazioni, in cui la stesura e la trattazione cromatica comunicano con la materia (anzi, la implicano), non mancano materiali di recupero, rimandanti agli elementi Terra e Acqua.
L’impiego della fluid art, caratterizzata da una palette sfumata e “mediata” (nonostante gli automatismi impliciti in tale tecnica), serve ad esprimere gli stati d’animo emergenti.
Proficuo il dialogo con l’alluminio, il gesso, lo zinco, quest’ultimo impiegato per repentine accensioni luministiche in grado di dare movimento alla tela (come in Tra l’edera).
Emerge sicuramente quell’occhio critico sulla realtà in cui ella si muove ed è inserita: tematiche impegnate, dunque, dall’indubbio valore simbolico e sociale.
Oggetti di uso quotidiano diventano in tal modo strumentali per esplicitare un’idea o per sottoporre all’attenzione dell’osservatore una problematica, un’urgenza.
Si tratta, in taluni casi, di lavori che oscillano tra messaggi di pericolo e speranza : pericolo in riferimento allo sfruttamento pervicace, perpetrato a danno dell’ecosistema terrestre, delle cui pessime conseguenze, note a tutti, si hanno dimostrazioni sempre più frequenti e distruttive; speranza, in quanto, nonostante tutto, il perfetto equilibrio su cui si fonda il Creato, con il suo intrinseco messaggio di Bellezza, offre, a quanti sanno coglierlo, possibilità di riscatto e di “redenzione”.
Nell’organizzazione cromo-formale di cui si avvale la Guetta viene dunque mostrata una Natura esplosiva e florida: essa diviene il secondo termine di una diade manichea, denso di poeticità e liricamente vibrante, la risposta al paesaggio antropizzato e cementificato cui si è oggigiorno avvezzi.
Non mancano omaggi al passato, ad eminenti personalità del Rinascimento fiorentino, di cui ella respira la stessa aria (è infatti originaria del capoluogo toscano) e a correnti del Novecento. Figure ritagliate vengono così inserite in vere e proprie scenografie, seguendo le fasi di un processo di oggettualizzazione dell’immagine, dall’idea al reale.
Queste opere riescono a gettare le basi di un coinvolgimento stimolante del fruitore, di cui si vuole rinverdire e/o risvegliare l’interesse in riferimento a determinati argomenti.
È inoltre palese l’ambizione al multiforme, una certa tendenza al frammento: frammenti che, nella loro portata simbolica individuale e autonoma, contribuiscono alla costruzione ideologica generale: ogni elemento, assolutamente non reiterato e non reiterabile, è al contempo sufficiente a sé stesso e funzionale al disegno generale.
Desiecta membra dunque e non tessere musive dalla cui reiterazione uniforme verrebbe a dipendere, in senso paratattico, l’economia complessiva dell’opera.
Si intavoli un raffronto con la poetica di Tano Festa, fondamentalmente per due aspetti, i coriandoli e i ready made.
Anche le inserzioni della Guetta sul supporto di riferimento potrebbero infatti somigliare a dei coriandoli, ma mentre nel caso Festa è innegabile un ricorso volontario alla casualità
e alla spontaneità, in linea col clima felice degli anni Sessanta, scevro da pastoie e tutto votato alla libertà espressiva, nell’operato dell’autrice toscana il tutto rientra in un gioco ben bilanciato e calibrato.
Inoltre, se il Maestro romano si avvale di oggetti privi e/o privati di funzionalità (persiane, specchi, armadi, etc.), il cui non sense acquisisce una simbologia e una declinazione analitica e metafisica, per l’artista contemporanea qui presentata essi si caricano sempre di significato, coerentemente con quanto intende comunicare. “
Ivan Caccavale
storico, critico e curatore d’arte /art historian, art critic and art curator
Critica a cura della Dott.ssa Stefania Pieralice redatta in occasione della sinossi dell’opera To Ukraine ospitata presso il Padiglione Nazionale Grenada alla 59. Biennale di Venezia Arte : “Intimità celesti, per i grandi dilemmi nelle vene, le tesse Francesca Guetta, non un’artista qualunque ma una donna dal furore commosso, che sente su di sé la vocazione verso l’Umanità. E la Bellezza che la Nostra ci presenta non ama compromessi o piaggerie estetiche o ancora idoli di latta connotati da pura ipocrisia. Lei, attraverso l’arte, crea manifesti di pace, meraviglia e amore. E To Ukraine porta alla luce la sregolatezza dell’attuale, la sofferenza. Il cielo è sconquassato, nella volta, dagli attacchi aerei. Dei prosperi campi di grano non rimangono che detriti, le fasce della bandiera nazionale sono smembrate, i colori frammentati vagano smarriti alla ricerca di un’unità spezzata dalla guerra. Al disorganico avvicendamento dei lacerti –quasi sineddoche delle abitazioni ridotte in macerie– si contrappone lo stringente, sovrastante e uniforme nero del filo spinato che imprigiona in una griglia, rendendo vano il coraggio (“bravery”), la pace (“peace”), la speranza (“hope”) e al contempo cela l’orrore (“horror”) perpetrato. E’ il dolore che risuona nella tela, ad anticipare il messaggio; è il fallimento delle illusioni a consegnare l’uomo nelle braccia del Nulla, nonostante in tal caso non si tratti di arte ma di struggente preghiera. E allora l’opera inscena la desolazione di un campo di battaglia, sepoltura di feretri tra le macerie, di aspettative e respiri, di morti senza parola e vivi che mai sapranno cosa è la vita .”
Critica redatta da Gastone Ranieri Indoni in occasione della mostra personale “ Un coacervo di intriganti stilemi “ tenutasi presso la galleria La Bomboniera dell’Arte a Roma e pubblicata sul bimensile FMS International Art Magazine n° 66-67/22 : “ Le descrizioni pittoriche di Francesca Guetta mentre in tanta parte esprimono un’urgenza ecologica esponenziale, in altri temi e stili, anche informali o collages, godono di svolgimenti estemporanei sorprendenti. C’è quello della difesa della Natura deturpata, pensiero fisso segnalato e da tempo tenuto presente e quello come lo svolgimento di altrettante diversificate tematiche in polimaterico a Lei altrettanto congeniali. Tutto il suo dire e fare Le conferisce una coerenza rara. Attraverso una dialettica pittorica, arricchita da una vivace espressione di colore e la vivida amalgama di una tecnica mista di imprevedibili materiali, si aumenta sensibilmente la ricercata funzionalità tesa a denunciare la latente pericolosità di un abuso per quanto riguarda la Natura ma anche l’attenzione che a turno rivolge ai grandi temi dell’Umanità nonostante la moltiplica di tanti diffusi finti allarmi. La mira resta quella di scongiurare con i suoi dipinti “J’accuse “, in primo luogo l’ignoranza di un paio di concetti fondamentali : il primo è quello dell’immensità di una Natura che, per quanto possa soccombere, difficilmente subisce per sempre la violenza dell’ uomo, come purtroppo ci avvisano i sempre più frequenti disastri a cui assistiamo. Il secondo svaria nell’immenso scibile della storia umana, storica o quotidiana che sia non importa, dove a Lei piace sottolineare il suo assenso o dissenso nel modo più schietto come imporrebbe la più accalorata Sibilla fiorentina della cultura.
Critica su Omaggio al Futurismo pubblicata sul Volume Congiunti, Giunti Editore, 2022 in occasione della mostra presso il Castello Visconteo Sforzesco di Novara : “ Francesca Guetta è congiunta a Boccioni. Omaggio al Futurismo rivela la sua fonte d’ispirazione già a partire dal titolo. Il lavoro, realizzato con tecnica mista su cartone telato, presente dei ritagli di giornale, delle riproduzioni di opere e delle fotografie relativa alla corrente futurista, su cui vengono applicata saette, triangoli e rettangoli blu gialli e rossi. Tra le opere replicate dalla Nostra, possiamo notare in basso a destra Inseguimento di Carlo Carrà, un collage realizzato con carta di giornale che raffigura un cavaliere al galoppo. Creando un gioco tautologico, dunque, Omaggio al Futurismo presenta curiosamente un college dentro a un altro collage, chiara ispirazione a quei “ metaquadri “ riscontrabili in opere di De Chirico, Matisse, Gauguin e molti altri. Omaggio contiene numerose citazioni al movimento, che rendono il confronto non solo possibile ma anche doveroso : dalla pagina del giornale Roma Futurista, alla storica fotografia che immortala Russolo, Carrà, Marietti, Boccioni e Severini nel 1912 davanti alla sede di Le Figaro, passando per la miniatura dell’ Uomo con i baffi di Depero, di cui si ricorda altresì il sodalizio con la Campari, finanche al piccolo riquadro, già citato, contenente l’Inseguimento di Carlo Carrà. Una giustapposizione di opere, intenti, memorie, ideali in cui tutto è movimento, dinamismo, esaltazione del moderno. Non mancano poi la forme spigolose e le tinte accese tipiche dello stile futurista, di cui Umberto Boccioni fu un esponente di spicco. Materia, ritratto a figura intera della madre del Maestro, viene accostato alla tela della Nostra in virtù dell’energia che si viene a formare grazie all’uso audace dei colori, i quali guizzano in ogni direzione. Trattasi in ambo i casi di opere vivaci, ritmate, in cui l’occhio è sollecitato a spostarsi freneticamente da un lato all’altro della composizione al fine di cogliere appieno la compenetrazione dei piani. Un linguaggio rapido ed efficace spalleggiato da un segno incisivo che, tanto nella pittura di Guetta quanto in quella di Boccioni, aiuta a superare il caos apparente mostrato sino a cogliere la rappresentazione simbolica dei rispettivi messaggi.